17.10.10

Il libro della domenica

Un paio di giorni fa sarebbe stato il suo compleanno; niente di meglio quindi che ricordarlo con un testo forte (presente alla Biblioteca di Seano) per chi detesta la poltiglia del politically correct.
Una citazione per delinearne lo stile e il tono:
"...Chi vuole ancora dominare? Chi vuole ancora obbedire? L'una e l'altra cosa sono troppo impegnative. Non un pastore e il suo gregge! Ognuno vuole la medesima cosa, ognuno è uguale; chi sente altrimenti, va diritto al manicomio. In altri tempi tutti erano pazzi, dicono i più raffinati e ammiccano. Si è saggi e si sa tutto ciò che è accaduto: così non si finisce mai di sorridere. C'è ancora chi s'arrabbia; ma ci si rappacifica presto per non sciuparsi lo stomaco.
Si possiede la piccola gioiuzza per il giorno e il piccolo piaceruzzo per la notte: ma si rispetta la salute. Abbiamo inventato la felicità, dicono gli ultimi uomini e ammiccano." E qui finì il primo discorso di Zarathustra, che è detto anche "prologo", perché a questo punto lo interruppe lo schiamazzo e l'allegria della folla. "Daccelo, quest'ultimo uomo, o Zarathustra" gridarono; "fa' che noi siamo questi ultimi uomini! Il tuo Superuomo te lo regaliamo!" E tutto il popolo giubilava e schioccava la lingua. Ma Zarathustra divenne triste e disse al suo cuore: "Non mi comprendono: io non sono una bocca adatta per le loro orecchie. Ho vissuto troppo a lungo nelle montagne, e troppo ho ascoltato la voce dei ruscelli e degli alberi: ora io parlo loro come fanno i caprai. Incrollabile è la mia anima, e chiara come la montagna nell'ora che precede il meriggio. Ma essi credono che io sia freddo e che non sappia che irridere con scherzi atroci. E mi guardano e ridono: e mentre ridono continuano ad odiarmi. Nel loro riso è il gelo."

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